Chiesa di Sant’Antonio da Padova
L’attuale Chiesa di Sant’Antonio da Padova è stata edificata a partire dal 1635 a lato della precedente chiesa. Fu costruita con le elemosine offerte dai mesagnesi e con l’interessamento di diversi ecclesiastici, primo fra questi fu il canonico Francesco Venerio, cappellano e procuratore della precedente chiesa, già citata nelle visite pastorali del cinquecento e nel manoscritto dello storico Cataldo Antonio Mannarino del 1596. Negli anni successivi al 1635 sono registrati diversi atti di donazione fatti dai mesagnesi per la costruzione della chiesa. Della chiesa si hanno notizie, oltre che dalle visite pastorali, anche dalla descrizione fatta dal Regio Tavolaro Pietro Vinaccia nel 1731. Il Vinaccia ci descrive una chiesa con “tetto a due penne… astregata nel suolo, con altare in testa” una chiesa semplice quindi con un solo altare. Lo storico Antonio Profilo sul finire dell’800 ci da notizie sull’arciconfraternita che molto probabilmente venne fondata negli anni della costruzione della nuova chiesa e “vi rimase sino al 1846, anno nel quale si trasferì nella chiesa dei padri celestini”. Non si hanno notizie delle maestranze che lavorarono alla costruzione dell’edificio, ma è probabile che i Profilo, molto attivi a mesagne in quegli anni abbiano partecipato alla realizzazione del manufatto.
La chiesa ad unica navata di presenta esternamente a campo unico delimitato da paraste e con un frontone spezzato. Dopo il terremoto del 1743, che probabilmente provocò dei danni, la confraternita si impegnò per la costruzione di altri corpi di fabbrica, come la sagrestia edificata nel 1749. Agli inizi del 1763 la confraternita di Sant’Antonio fu dichiarata regia da Ferdinando IV di Borbone, ed in quella occasione i confratelli fecero dipingere una tela con il sovrano ancora presente in sagrestia.
Altro avvenimento da segnalare relativo alla storia della chiesa di Sant’Antonio da Padova è l’istituzione di un “monte di maritaggio” voluto dalla nobildonna Ilaria Falces. Questa disposizione coinvolgeva la Mesagne povera e contribuiva ad accrescere la presenza di devoti all’interno dalla chiesa. Per volere testamentario la Falces donò una considerevole somma ai confratelli per festeggiare il santo, ed anche per questo, la chiesa divenne importante per le vicende settecentesce della città. Un documento del 30 ottobre 1778 ci racconta di come, alla fine delle celebrazioni della festa del Santo del 22 giugno 1777, si assegnò la dote a una “zitella” quell’anno alla presenza di diversi religiosi la fortuna toccò a Concetta di Vicienti. All’interno della sagrestia è presente una tela con il ritratto indicato come di Maria Falces, la donna raffigurata in età avanzata ed in abiti religiosi, potrebbe essere la Maria Falces di cui si ha notizia dell’ingresso nel convento di Santa Maria della Luce nel 1715/16. Non è da escludere che Maria e Ilaria siano la stessa persona.
All’interno vi sono gli altari settecenteschi del Sacro Cuore, della Madonna del Carmine, e le cappelle di San Giuseppe e del Crocifisso.
Particolarmente ricco è iSull’altare maggiore vi è il settecentesco dipinto parietale di Sant’Antonio da Padova.
Da segnalare la tela della seconda metà del ‘600 raffigurante S. Francesco D’Assisi adorante il Cristo morto sorretto da un angelo nella controfacciata. Altre due tele una con Sant’Antonio da Padova che predica ai pesci e l’altra con il Santo che attacca il piede ad un giovane, entrambe dell’ultimo quarto del ‘700 e di ambito salentino, avevano in origine forse un’altra collocazione, così come il dipinto di S. Irene dello stesso periodo. Possiamo ipotizzare che anche il dipinto del Padre Eterno, datato file ‘600 inizi ‘700 avesse una diversa collocazione. L’elemento che ci induce a pensare ad una originaria differente collocazione è la forma delle tele.
Si aggiungono alle tele già indicate altre due con S. Antonio morente che riceve il viatico e l’Estasi di S. Antonio in punto di morte, entrambe dell’ultimo quarto del ‘700.